mercoledì 2 dicembre 2009

Recensione del libro su L'Indice

Pierluigi Politi ha recensito il nostro libro sul numero di novembre de L'Indice (Psicoanalisi e neuroscienziati, pag. 32), leggendolo contestualmente al saporito pamphlet di Paolo LegrenziCarlo Umiltà, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, edito da Il Mulino (Bologna 2009) che parte, invece, dalla considerazione della stupefacente irrilevanza clinica delle neuroscienze:

Silvio A. Merciai e Beatrice Cannella hanno cercato di trascrivere su carta il frutto – finora online – dei corsi tenuti presso l'Università della Valle d'Aosta. I due temerari si sono così allontanati dalla necessità dell'aggiornamento cogente in tempo reale, concedendo spazi a riflessioni più ampie e a qualche tentativo di sintesi. Il risultato è un volume ancora aggiornato, sì, ma anche compatto ed omogeneo, che mette a disposizione degli psicoterapeuti di ogni estrazione una gran mole di dati, piuttosto ben organizzati, risparmiando il tempo e la fatica necessari per un aggiornamento di prima mano. Le numerose, estese citazioni lo fanno rassomigliare più ad una antologia che ad un comprehensive textbook.
Le grandi aree di ricerca, sono puntualmente citate e sintetizzate; vi trovano spazio, ad esempio, la neuroeconomia, come il fenomeno del
mirroring, il tema della plasticità cerebrale e l'utilizzo del placebo. Così pure i grandi personaggi della ricerca neuroscientifica vi trovano posto, da Damasio a Kandel, da LeDoux a Rizzolatti, solo per citarne alcuni. Insomma, sul versante delle neuroscienze, la rassegna delle conoscenze, della letteratura, persino del contorno, è molto ricca: dalle biografie dei ricercatori, alla storia delle controversie, tutto appare in ordine. Minore uniformità si apprezza sul versante psicoanalitico dove gli Autori riportano – onestamente – posizioni e atteggiamenti assai divergenti. L'impressione che si ricava dalla disomogeneità delle teorie, degli stili, dei risultati è che, quando anche coniugassimo il decennio del cervello con il secolo della psicoanalisi, quando anche psicoanalisti e neuroscienziati rinunciassero, ciascuno per la sua parte, a fraintendimenti, gelosie e spocchiosità, il divario tra le due discipline resterebbe marcato.

Naturalmente concordiamo con la conclusione del recensore – che ringraziamo per l'attenzione che ha dedicato al nostro libro – che entrambi questi volumi ricordano al lettore, ..., quanto siamo ancora lontani dal poter affermare certezze universali a proposito di quell'incredibile microcosmo che chiamiamo mente e sulla sua constatazione dei traguardi ancora non raggiunti circa le possibili ricadute anche cliniche (anche se con una sfumatura di fiducia nella ricerca neuroscientifica che nella recensione non ci sembra di cogliere ...).

mercoledì 18 novembre 2009

Ancora prudenza a proposito dei neuroni mirror nella specie umana ...

In conclusione al capitolo 'Uno sguardo al futuro ...' a pag. 166 va aggiunto questo paragrafo:

Christian Keysers è ritornato su questi temi in un breve articolo pubblicato su Current Biology (vol. 19, n. 21, pp. R971-R973), nel quale assume una posizione decisamente prudente a proposito della presenza e del significato dei neuroni mirror nella specie umana: posizione che certo fa riflettere provenendo da un Autore che ha lavorato strettamente con il gruppo di Parma e che può annoverarsi a buon ragione tra gli scopritori del fenomeno del mirroring. Parafrasando il suo scritto possiamo affermare che:


  • Differenti gruppi di ricerca hanno evidenziato l’esistenza di neuroni mirror in tre regioni della corteccia del macaco.
  • Neuroni mirror sono stati recentemente segnalati negli uccelli canori.
  • Resta discussa – nessuna dimostrazione definitiva è stata acquisita ma ci sono molti segni indiretti – l’esistenza di neuroni mirror nella specie umana:
    • Diminuisce il ritmo μ quando ci si muove o si vede qualcuno muoversi.
    • L’esecuzione di un’azione è facilitata dal vedere qualcun altro eseguire un’azione simile e resa più difficile dal vedere qualcun altro eseguire un’azione incompatibile.
    • La TMS mostra che guardare un’azione facilita la rappresentazione motoria corticale dei muscoli implicati nell’eseguire la medesima azione.
  • Sulla base del principio della continuità evolutiva, si dovrebbe assumere che i neuroni mirror siano allocati essenzialmente nella corteccia premotoria e in quella parietale.
  • I risultati di vari esperimenti condotti in fMRI suggeriscono però che altre regioni cerebrali nell’uomo abbiano proprietà mirror, tra cui la corteccia premotoria dorsale, la corteccia motoria supplementare, le cortecce somatosensoriali primaria e secondaria, la circonvoluzione temporale posteriore centrale e parti del cervelletto. In assenza di dimostrazioni conclusive, sarebbe meglio riferirsi a queste regioni in termini di un sistema putativo di neuroni mirror.
  • Benché compaiano in letteratura studi che negano l’esistenza di neuroni mirror nell’uomo (spesso contraddetti da altri consimili), questi possono essere intesi come conseguenza dei limiti degli strumenti di analisi impiegati.
  • Gli studi attualmente disponibili sembrano indicare che i neuroni mirror contribuiscono alla nostra percezione delle altrui azioni.
    • Questo potrebbe riscontrarsi in condizioni patologiche come quella dell’autismo, ma i dati in questione sono attualmente contradditori.
  • Siamo probabilmente in grado di sviluppare competenze di mirroring attraverso l’apprendimento.
    • Cinque ore di lezioni di piano sono sufficienti perché la corteccia premotoria cominci a rispondere al suono della musica.
  • Le regioni del cervello che hanno a che fare con l’esecuzione delle azioni si attivano anche quando le persone cercano di capire le altrui intenzioni o empatizzano con altri o ascoltano il linguaggio parlato.
    • Resta aperta (TMS, studi lesionali) la questione di quanta di questa attività derivi realmente dai neuroni mirror ed in quale misura possa essere assunto un legame causale tra attivazione e funzioni mentali.
  • Alcuni esperimenti suggeriscono l’idea che regioni cerebrali implicate nell’esperire emozioni e sensazioni si attivino anche quando vediamo le emozioni e le sensazioni degli altri.
    • Queste regioni potrebbero perciò contenere neuroni mirror per le emozioni e le sensazioni: ma in assenza di registrazioni dirette da singoli neuroni queste conclusioni non possono che rimanere provvisorie.
  • Sono circa una dozzina i lavori scientifici che hanno dimostrato direttamente l’esistenza dei neuroni mirror nelle scimmie e negli uccelli: ma sono circa cento volte tanto i lavori che si riferiscono ai neuroni mirror senza registrarne direttamente l’attività e spesso implicando una correlazione tra mirroring e funzioni cognitive elevate. Mentre è fuori di dubbio che esistano neuroni mirror negli animali, la relazione causale tra questi neuroni e fenomeni quali l’empatia, la teoria della mente, il linguaggio, l’autismo, l’estetica, la morale e la politica ha così poche evidenze sperimentali certe che la frequenza con cui il termine di neuroni mirror compare in letteratura non può che suscitare un certo disagio.
  • Dopo l’iniziale entusiasmo per la scoperta dei neuroni mirror e la stimolante ondata di speculazioni che ne è seguita, abbiamo ora bisogno di concentrarci su metodi che ci consentano di:
    • Localizzare questi neuroni nel cervello umano.
    • Esaminare che tipo di informazione essi trasmettano circa le altrui azioni.
    • Definire l’eventuale relazione causale tra i neuroni mirror putativi in vari nodi del sistema e le funzioni cerebrali più elevate della mente umana.
    • Cercare di comprendere l’evoluzione del sistema.
  • I neuroni mirror ci consentono di gettare uno sguardo affascinante sulle basi neurali della cognizione sociale: usiamo attente sperimentazioni invece che speculazioni selvagge e controversie per trasformare questo sguardo in una solida comprensione scientifica.
Una posizione, come si vede a prima vista, ben lontana dagli entusiasmi e dalle speculazioni di Gallese o di Iacoboni – che fanno dei neuroni mirror il perno di tutte le neuroscienze sociali e delle loro applicazioni – ma anche dalla relativa prudenza dei lavori del ‘maestro’ Giacomo Rizzolatti

domenica 15 novembre 2009

L'ossitocina: 'buoni' e 'cattivi' sentimenti ...

A pag. 55, al termine del secondo paragrafo (... della malattia depressiva.) va inserita questa nota a pie' di pagina:

Ma forse l’ossitocina non è sempre l’ormone dei ‘buoni’ sentimenti: l’osservazione che essa potenzia l’aggressività dei roditori ha spinto Simone Shamay-Tsoory et al. (Intranasal Administration of Oxytocin Increases Envy and Schadenfreude (Gloating), Biological Psychiatry, 2009, 66 pp. 864–870) a verificare se l’ossitocina non influisca anche su sentimenti ‘cattivi’, come l’invidia o lo Schadenfreude (di cui parleremo ancora a pag. 85). Poiché l’esperimento dimostra questa intuizione (sia pure in termini di un’influenza alquanto modesta), si potrebbe concludere che l’ossitocina promuove in generale l’intensità delle emozioni sociali modulando la rilevanza (salience) degli agenti sociali nei contesti sociali: e portando quindi a più generosità e fiducia nei contesti positivi e a più invidia e avidità nelle situazioni competitive.

sabato 14 novembre 2009

Il rovescio della medaglia ...

A pag. 53, faremmo seguito al capoverso che termina con le parole "... qualcosa da aggiungere ...)" con questa citazione (tratta da Julian Savulescu & Anders Sandberg (2008), Neuroenhancement of Love and Marriage: The Chemicals Between Us, Neuroethics (2008) 1:31–44):

Ma la medaglia ha anche il suo rovescio:
L’evoluzione non ci ha creato per essere felici, ma piuttosto ha creato la felicità per tenerci vivi e farci riprodurre: ma dal nostro punto di vista umano la felicità e il benessere nostro e dei nostri cari sono l’obiettivo più importante. Possiamo desiderare di aver figli, ma molto raramente il nostro desiderio si basa sulla decisione consapevole di promuovere la sopravvivenza della nostra specie o di perpetuare i nostri geni. Nel conflitto tra valori umani ed evoluzione possiamo benissimo ignorare quello che l’evoluzione promuoverebbe: non esiste alcun imperativo umano che ci costringa ad obbedire all’evoluzione, ma in ogni caso è l’evoluzione che ha costruito i nostri sistemi motivazionali e le nostre emozioni, facendo sì che qualsiasi etica o sistema sociale che vada contro questi vincoli sia fragile e instabile. I nostri adattamenti evoluzionistici si basano su un ambiente ancestrale [più o meno il Pleistocene dei grandi cacciatori] molto diverso dal nostro presente e molti di questi adattamenti finiscono con il produrre competitività e infelicità invece che felicità … [Julian Savulescu & Anders Sandberg, 2008, p. 41]

Neuroimaging

Abbiamo provveduto ad aggiornare e completare la nota 12 di pag. 21, riscrivendola integralmente (meglio sarebbe stato trasformarla in un box, ma abbiamo preferito mantenere intatta la struttura del libro):

Le due tecniche fondamentali di imaging sono la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica nucleare (MRI): esistono poi varie specializzazioni e tecniche particolari la più nota delle quali è la risonanza magnetica nucleare funzionale (fMRI) che utilizza la deossiemoglobina come una sorta di mezzo di contrasto interno; va inoltre attualmente molto affermandosi la DTI (Diffusion Tensor Imaging), una tecnica che si propone di mappare le connessioni neuronali in particolare della sostanza bianca seguendo il percorso delle molecole di acqua che tendono a scorrere (anche se con dinamiche tuttora poco note) lungo le cellule nervose coperte dalla mielina, che è idrorepellente.


La disponibilità delle tecniche di imaging ha completamento rivoluzionato, in pochissimi anni, non solo gli ambiti e le potenzialità di ricerca ma anche il modo di concepire la composizione dei teams degli studiosi all’opera (per esempio, ci vogliono fisici molto specializzati per seguire lo sviluppo delle tecnologie arrivate, nel caso della fMRI, alla spettacolare potenza di 7Tesla, ed esperti di tecniche computazionali avanzate per leggere i risultati grezzi) o di presentare i risultati nell’ambito delle varie pubblicazioni scientifiche. Ramachandran è gustosamente intervenuto recentemente, in un’intervista, pubblicata su Monitor on Psychology di giugno 2008, sulla febbre dell’imaging:

Pensare è davvero difficile e quando si hanno a disposizione tecnologie meravigliose si ha facilmente l’illusione di fare grandi progressi: si mette qualcuno dentro una macchina e se ne hanno delle immagini incredibili. Siamo arrivati al punto che, anche se hai fatto un esperimento con conseguenze da far girare la testa, certe riviste non ti accettano il lavoro se non hai delle immagini cerebrali. Ma più frequentemente capita il contrario: gli psicologi guardano con risentimento le neuroscienze che temono prendano il sopravvento; io la chiamo invidia del neurone [neuron envy]. Le nuove tecnologie di imaging stanno rivoluzionando il campo, specialmente quando sono accompagnate da ipotesi e concettualizzazioni intelligenti. Pensateci, è così che gli psicologi hanno scoperto come funziona la memoria ed è così che scopriranno quello che succede nel cervello. Facciamo delle ipotesi e vediamo se le cose funzionano come ci aspettiamo a livello cerebrale … Il segreto è di non fare generiche battute di pesca, quel che si prende si prende: e invece il 98% dell’imaging cerebrale brancola a tentoni nel buio più nero … [Vilayanur Ramachandran, 2008]

Ci rassicura molto che Chris Frith, uno dei più grandi neuroscienziati contemporanei, ammetta nel suo ultimo libro di non capire proprio come funzioni la MRI (ma questo non gli ha impedito di essere per molti anni una delle punte della ricerca internazionale nel settore) e, coprendoci dietro questa dichiarazione, non discuteremo in questa nota le complesse questioni tecniche legate alle metodiche di imaging. Il lettore interessato ha comunque a disposizione trattazioni ed aggiornamenti comprensibili anche per non specialisti che vanno diffondendosi nelle riviste internazionali comunemente consultate dagli operatori del settore psicologico: per esempio, un lavoro molto bello e in gran parte autobiografico sulle tecniche di imaging nel campo delle neuroscienze è stato pubblicato nel 2008 da Raymond J. Dolan sulla rivista Neuron (Neuron 60, November 6, 2008, pp. 496-502) con il titolo Neuroimaging of Cognition: Past, Present, and Future e un’overview ben documentata sui lavori più recenti, che dà il senso dei progressi che continuamente vengono compiuti dal punto di vista tecnologico e dei limiti tuttora esistenti, è stata preparata da Peter A. Bandettini per l’edizione 2009 del The Year in Cognitive Neuroscience pubblicata nell’ambito degli Annals of the New York Academy of Sciences (volume 1156) con il titolo di What’s New in Neuroimaging Methods? (pp. 260-293).

Una certa attenzione va però dedicata ai limiti intrinseci delle metodiche di imaging, spesso sottaciuti o minimizzati (in termini di potere di risoluzione, per esempio, non si dimentichi che, come è stato stimato, un voxel - che è un po’ l’unità di misura della granularità della fMRI – include 5.5 milioni di neuroni, 1010 sinapsi, 22 km di dendriti e 220 km di assoni …): nel caso della fMRI, poi, illazioni e interpretazioni importanti a proposito dei vari meccanismi mentali vengono avanzate sulla base della rilevazione di piccole variazioni della vascolarizzazione cerebrale, verosimilmente degli astrociti e quindi solo indirettamente dei neuroni, (segnale BOLD: blood oxygenation level-dependent), con conoscenze ancora molto imprecise sia a proposito delle variazioni fisiologiche individuali sia dei limiti di risoluzione spazio-temporale della metodica (si consideri, per esempio, che il flusso ematico impiega circa due secondi per esprimere una variazione mentre un pensiero varia nell’ordine dei millisecondi) sia della condizione stessa delle attivazioni cerebrali in assenza di specifiche attività mentali (il cosiddetto resting state di cui faremo cenno più avanti). Imaging or Imagining? è l’azzeccato titolo che J. Illes e E. Racine hanno scelto per un loro lavoro del 2005 dedicato alla discussione di queste problematiche, nel corso del quale viene ripetutamente posto in evidenza che l’interpretazione di un risultato di imaging è correlato a importanti variabili socio-culturali e che l’uso eccessivamente disinvolto di tecniche neuroscientifiche in vari settori – dalle aule giudiziarie alla pubblica opinione – pone significativi quesiti etici ove la dimensione interpretativa venga sottaciuta in nome di una pretesa verità scientificamente oggettiva.

Il problema si è vivacemente imposto all’attenzione della letteratura ai primi del 2009, quando ha cominciato a circolare la bozza in attesa di pubblicazione di un articolo provocatoriamente intitolato Voodoo Correlations in Social Neuroscience, di Edward Vul (uno specializzando del MIT), Christine Harris, Piotr Winkielman e Harold Pashler dell’University of California, San Diego, nel quale vengono mosse critiche molto pesanti alle modalità di elaborazione ed interpretazione dei dati dell’imaging nel campo in particolare delle neuroscienze sociali, che proporrebbero correlazioni implausibilmente elevate (con il sospetto addirittura che in taluni casi si tratti di correlazioni totalmente illusorie) avvalendosi di particolari artifizi statistici atti a enfatizzare i risultati di correlazione tra immagini e costrutti psicologici. Il testo riesamina criticamente cinquantaquattro lavori recenti di alto profilo e ne boccia ben trentuno di Autori non certo di secondo piano (da Tania Singer a Raymond Dolan, da Christian Keysers a Chris Frith); la sua precoce messa a disposizione su Internet e la rilevanza provocatoria delle sue affermazioni – a cominciare dal titolo stesso – hanno innescato una polemica molto vivace e la produzione di vari lavori da parte di molti Autori. Il “caso” (ben documentato nel blog di Edward Vul, raggiungibile all’indirizzo http://www.edvul.com/voodoocorr.php) si è un po’ ridimensionato con la pubblicazione del lavoro (con il nuovo titolo di Puzzlingly High Correlations in fMRI Studies of Emotion, Personality, and Social Cognition) nel numero di maggio (volume 4 numero 3, pp. 274-290) della rivista Perspectives in Psychological Science, preceduto da un’Introduzione dell’editore della Rivista, Ed Diener, e seguito da alcuni lavori di revisione critica, alcuni nel senso della confutazione altri in quello della conferma (di Thomas E. Nichols e Jean-Baptist Poline; Tal Yarkoni; Matthew D. Lieberman, Elliot T. Berkman e Tor D. Wager; Nicole A. Lazar; Martin A. Lindquist e Andrew Gelman; Lisa Feldman Barrett) e da una risposta generale degli Autori (che ribatte le obiezioni mosse e riafferma il tenore delle critiche inizialmente mosse ed anzi ne estende la validità in un senso epistemologicamente più esteso)..

La luna di miele con la fMRI è finita, scrivono nel corso di un altro interessante articolo di revisione critica John Darrell Van Horn e Russell A. Poldrack (Functional MRI at the crossroads, International Journal of Psychophysiology 73, 2009, 3–9: l’articolo fa parte di uno Special Issue che la rivista dedica all’argomento della sirena fMRI): occorrerà nel futuro costruire metodologie, largamente confortate dal confronto via Internet, in cui diverse modalità di imaging (fMRI, DTI e PET) ma anche manipolazioni farmacologiche ed analisi genetiche concorrano nella rilevazione e nell’interpretazione dei dati e molta cura e cautela sia impiegata nella comunicazione dei possibili risultati di correlazione.

sabato 7 novembre 2009

REM Sleep and Dreaming: una bella review di J. Allan Hobson.

Al termine del primo periodo della pag. 30, nel box 1.3, dopo le parole "... alla condizione del delirio", potrebbe essere aggiunta questa segnalazione di un bel lavoro recentemente comparso:

Hobson è tornato recentemente sull’argomento proponendo una lucida review dell’argomento (REM sleep and dreaming: towards a theory of protoconsciousness, Nature Reviews Neuroscience, Novembre 2009, pp. 803-813) in cui ha presentato un aggiornamento della teoria generale, ora denominata AIM (activation, input-output gating e modulation – le aree cerebrali e i modulatori neurochimici implicati nella varie fasi del ciclo veglia-sonno rimangono, con qualche affinamento, quelli della teoria classica da lui esposta in molti lavori scientifici negli ultimi anni), e ha sostenuto l’importante teoria che funzione fondamentale del sonno-REM sia quella di consentire il costruirsi di uno stato di coscienza primaria sulla cui base evolverà pian piano la coscienza secondaria e matura dell’adulto. Dopo aver tra l’altro fatto osservare che “quando si sogna, si ha l’impressione di essere padroni degli atti motori sognati, ma basta la riflessione di un momento per accorgersi che questo senso di agenzia volitiva è tanto illusorio quanto il nostro senso di libero arbitrio da svegli” [pg. 808], conclude sottolineando che il sonno-REM può essere considerato come una sorta di generatore di mondi di realtà virtuale: una preparazione alla vita reale da svegli come una rielaborazione di essa. Il sonno-REM, dunque, ci prepara e ci rende più competenti nell’affrontare la realtà. Queste funzioni si sviluppano anche prima che si costituisca la capacità di sognare, che comparirebbe verso i 5-8 anni: l’esperienza soggettiva del sogno ne sarebbe dunque solo un epifenomeno, eventualmente anche privo di importanti significati psicologici in sé.

Un commento al libro da parte di Antonio Imbasciati

Riceviamo con piacere da Antonio Imbasciati questo commento al nostro libro:

Senatores probi viri, senatus mala bestia. Con molto garbo anche in Italia qualche psicoanalista riesce a dire agli ultimi vescovi dell'establishment quello che fino a qualche anno fa suscitava ostracismi, o forse risentimenti del collettivo emotivo di fronte a affermazioni che suonavano a oltraggio di una dottrina che si attribuiva a Freud. I colleghi di questo bellissimo libro, importante per il futuro della SPI, non incorreranno più oggi in una scomunica come succedeva un tempo, ma forse qualche non bel pensiero inespresso susciteranno. Fatto importante è che i nostri autori riportano una bella rassegna di studi di autorevoli colleghi stranieri che affermano fondamentali cambiamenti dei parametri creduti inviolabili della psicoanalisi, e rinfacciano alla psicoanalisi i suoi sette peccati mortali (si veda pagina 180). Questi peccati hanno privato gli psicoanalisti italiani di potenziali validi colleghi, insieme ai quali si sarebbe potuto far progredire la psicoanalisi in quanto scienza e soprattutto farla rispettare dalle altre scienze.

martedì 20 ottobre 2009

Una road map per la comprensione delle dinamiche non-lineari

A pag. 8, dopo la parola "cambiato" (ottava riga del testo) potrebbe essere inserita la seguente nota:

Robert M. Galatzer-Levy ha recentemente pubblicato un bell’articolo (Finding Your Way Through Chaos, Fractals, and Other Exotic Mathematical Objects: A Guide for the Perplexed, JAPA, 2009, 57/5, pp. 1227-1249) dedicato a costruire una sorta di road map per lo psicoanalista interessato a capire ed approfondire vari concetti derivati dallo sviluppo delle teorie matematiche avanzate, con particolare riferimento alle dinamiche non-lineari e alla teoria della complessità, che sono – a suo avviso – la premessa di un nuovo modo di pensare che plasmerà una nuova visione del mondo e un nuovo paradigma per concettualizzare la psicoanalisi.

lunedì 28 settembre 2009

Donna M. Orange e la psicoterapia umanistica

Al termine della citazione di Donna M. Orange a pag. 182 potrebbe essere aggiunta questa nota:


Nel suo ultimo libro Thinking for Clinicians - Philosophical Resources for Contemporary Psychoanalysis and the Humanistic Psychotherapies (Routledge, 2009), Donna M. Orange propone una sua lettura di cinque filosofi europei (M. Buber, L. Wittgenstein, M. Merlau-Ponty, E. Levinas e H.-G. Gadamer) che hanno molto contribuito allo sviluppo del nostro pensiero clinico orientato nella prospettiva socratica che fonda il discorso psicoterapeutico e teorizza che

“... come molti altri psicoterapisti, vedo una forte separazione tra i terapisti che si ispirano a quel tipo di umanesimo che è condiviso dai filosofi cui si ispira questo libro e quelli che si ispirano di più alla tradizione delle scienze naturali …, tra i quali i terapeuti a indirizzo cognitivo-comportamentale, i neuropsicoanalisti e coloro che praticano altri tipi di terapie orientate a tecniche specifiche, come l’EMDR (eye-movement desensitization and reprocessing). Benché molti di questi terapeuti dichiarerebbero – e a ragione – una motivazione umanistica per il loro lavoro (…) , in realtà i loro metodi e le loro stesse teorie non sono in sintonia con una visione umanistica dell’esperienza personale e possono causare danni quando praticate senza la solidità delle terapie basate sul dialogo che sono invece attente all’evolversi della qualità dei legami interpersonali.” [p. 6]

Recensioni del libro

Sono uscite in questi giorni due recensioni del nostro libro:

Silvia Marchesini ne ha parlato su Psicoterapia e Scienze Umane (2009, 3, pp. 417-419) illustrando dettagliamente sia l'articolato del volume sia le questioni teoriche di fondo cui il nostro lavoro si ispira. "Nell'introdurre i temi e i punti di vista dei vari orientamenti, Merciai e Cannella concedono ampio spazio in forma di citazione alle parole delle loro fonti. L'intento è di offrirre al lettore la possibilità di una esperienza diretta e non mediata da parafrasi o riassunti. A completare l'organizzazione del testo ci sono anche note e box che approfondiscono le tematiche aggiungendo dettagli e curiosità. ... Il tentativo tenderebbe a mettere insieme, su un piano di parità, la prospettiva oggettiva della mente, quale è studiata dalle neuroscienze, con la prospettiva soggettiva, con l'esperienza del mondo interno, indagato dalla clinica psicoanalitica. ... Merciai e Cannella descrivono con chiarezza espositiva le discipline contigue alla psicoanalisi, e criticano nel contempo l'atteggiamento di chi sostiene di non vedere l'opportunità e il vantaggio dell'incontro con discipline provenienti dai suoi territori di confine."

Maria Ponsi ne ha scritto sulle pagine online della Rivista di psicoanalisi, all'indirizzo http://www.rivistapsicoanalisi.it/index1.php?PG=rir&n=rir_09_3/rir_09_3_5&lang=. "... la metafora del viaggio ha una doppia valenza: questo libro non è solo un «viaggio» nelle zone concettuali condivise dalla psicoanalisi e dalle neuroscienze ma è anche un «viaggio-navigazione»: navigando fra le accurate illustrazioni delle ricerche neuroscientifiche, le lunghe citazioni di opere, i profili d’autore e le personali osservazioni dei due Autori, il lettore si ritrova immerso in quella struttura iper-testuale a cui lo ha abituato la frequentazione di Internet.
Anche grazie a queste caratteristiche
La psicoanalisi nelle terre di confine è accessibile a diversi tipi di lettore. È certamente utile a quello che frequenta le discipline «psi-» e vuole farsi un’idea documentata delle implicazioni per la psicoanalisi delle nuove acquisizioni delle neuroscienze. Ma è altrettanto utile per chi, già un po’ a conoscenza dell’argomento, è interessato a conoscere meglio i termini in cui si svolge oggi il confronto inter-disciplinare. Il dialogo con le neuroscienze porterà a una revisione del suo apparato teorico? Influenzerà il suo metodo clinico? È utile ricercare la compatibilità fra le asserzioni della psicoanalisi e le acquisizioni delle neuroscienze? O al contrario è fuorviante, perché la psicoanalisi perderebbe la sua specificità metodologica e epistemologica?
Su tali questioni, che fanno da sfondo all’ampia e aggiornatissima rassegna della letteratura, gli Autori esprimono in modo chiaro il loro punto di vista – che del resto è apertamente enunciato nel risvolto di copertina (
superare ogni arroccamento disciplinare per promuovere la rifondazione scientifica della psicoanalisi). Ma lo fanno sempre dopo aver ben illustrato la posizione alternativa, in modo da dare al lettore un’informazione completa."

Siamo molto grati alle colleghe per la cura e l'attenzione che hanno manifestato nei confronti del nostro lavoro e le ringraziamo per la loro lettura del libro che ci pare del tutto consonante con i nostri obiettivi ...

sabato 20 giugno 2009

Presentazione a Milano

La settimana scorsa abbiamo presentato il libro a Milano all'A.R.P. (Associazione per la Ricerca in Psicologia Clinica), invitati da Franco Del Corno, direttore della Collana di Psicologia Clinica e Psicoterapia di Raffaello Cortina nel cui ambito il libro è stato pubblicato.

La locandina del seminario è pubblicata a questo indirizzo: http://www.arpmilano.it/DOCaperti/merciai/locandina_merciai.pdf

Opinioni e commenti: Maria Ponsi

Ci scrive Maria Ponsi:

Caro Silvio,

Ho finalmente finito di leggere - con grande interesse - il vostro libro.

E' la prima volta che leggo un testo cartaceo con una struttura ipertestuale, e mi sono trovata bene, come penso si trovino bene coloro che sono abituati a viaggiare in Internet (... per gli altri non so!).
Anzi, posso dire che per me questa struttura aperta, 'snodata' direi - in cui si 'surfeggia' fra le citazioni di tanti autori ma sempre con il vostro sguardo sullo sfondo (... ma a tempo debito anche in primo piano!) - ha avuto la funzione di stimolarmi a pensare e ripensare le varie questioni relative al tema .

Ciao, buone cose.

Maria Ponsi

Opinioni e commenti: Franco Scalzone

Franco Scalzone, uno dei pionieri del dialogo tra neuroscienze e psicoanalisi in Italia, ci ha scritto:

Caro Silvio,

ho terminato il tuo libro. Mi sembra molto accurato, ricco di informazioni, di congetture, di argomentazioni ecc. e ‘completo’, per come può essere completo un libro su un work in progress. Certo utilissimo per chi voglia sapere ‘lo stato dell’arte’. Avrei utilizzato meno citazioni... ma questa è optional.

Parlo spesso di questi problemi con un mio amico lacaniano del tutto ‘ostile’ al dialogo perché dice che la psicoanalisi si interessa solo di ciò che è rintracciabile nel linguaggio e con il linguaggio, tanto che mi ha chiesto il permesso di citare il mio lavoro su l’IJP, al Congresso dei Forum lacaniani, ma di criticarlo ... anche le sue argomentazioni non mi soddisfano ... sebbene le comprenda ... vedremo.

Però, come sempre, alla fine tutta la letteratura sull’argomento del dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze mi lascia con un senso di ‘incompletezza’ ... il che è ovvio. Credo che questa sensazione sia dovuta al fatto che di fronte al “misterioso salto” – o ai ‘misteriosi salti’ dalla mente al corpo - e viceversa, restiamo ancora attoniti e impotenti. A tal proposto mi è sempre piaciuto la citazione dai i due autori cileni: “I neuroni sono le unità anatomiche del sistema nervoso, ma non sono gli elementi strutturali del suo funzionamento. Gli elementi strutturali del sistema nervoso funzionante non sono ancora stati definiti, e probabilmente sarà evidente quando saranno definiti che devono essere espressi in termini di invarianti di attività relative tra neuroni, in qualche modo materializzati in invarianti di relazioni di interconnessioni, e non in termini di separate unità anatomiche.” (Maturana e Varela 1980, pp. 97-98).

Continuo a pensare, per ora, che ciò che può aiutare il dialogo sia lo studio delle ‘strutture intermedie virtuali’ poste tra il corpo e la mente ... forse! E se mi chiedi cosa intendo per ‘strutture virtuali’... ovviamente questo è un punto delicato perché non è un concetto che ho molto ‘rifinito’, comunque provo ad esprimerlo procedendo con esempi più che con definizioni.
Una prima struttura virtuale - che poi queste strutture sono molto simili a strutture concettuali – è ad esempio l’apparato del linguaggio (in L’interpretazione delle afasie), lo schema della sessualità della Minuta G, gli schemi dell’apparato psichico del cap. 7 de L’interpretazione dei sogni ... e poi ovviamente i componenti della I e della II Topica (Inc, Prec e P-C, l’Es l’Io e il Super-io, il Sé etc.) e così via.
Sul versante neurofisiologico considererei i processi di autorganizzazione che ordinano i neuroni in gruppi neuronali, repertori, mappe, centri e livelli: strutture con un valore funzionale di tipo distribuito piuttosto che anatomico di tipo localistico, organizzate anch’esse secondo varie modalità. Persino i neurotrasmettitori possono essere considerati strutture se pensiamo alla loro funzione nel dominio del loro operare con un insieme di relazioni tra elementi.
Non è importante, in ogni caso, il nome di queste strutture quanto il fatto che esse possano fornire un modello concettuale per spiegare i fatti osservati, nel nostro caso, ad esempio, dei fatti clinici, il quale permetta di rappresentare il funzionamento di un sistema (mente-corpo) mediante le modalità (e le regole) secondo cui le parti o i singoli elementi, tra loro interconnessi, si comportano.

Capisco che forse la risposta può non essere esauriente ma ... per ora non so fare di meglio.

Con stima.

Franco Scalzone

giovedì 28 maggio 2009

Opinioni e commenti: Sergio Salvatore

Sergio Salvatore ci ha inviato un suo commento al libro (con una lettera che riportiamo qui di seguito) e ha sollevato due questioni: il modello di rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi e il concetto di evoluzione come presupposto fondante la plausibilità delle varie costruzioni scientifiche.


Cari Silvio e Beatrice (se posso permettermi),

ho sinceramente apprezzato il vostro libro.

Siete riusciti nel non facile compito di creare uno strumento utile ed utilizzabile da diversi modelli di lettore (studenti, ricercatori clinici, clinici). Mi ha colpito la sistematicità e la capacità di controllo della discussione. Ho trovato indovinata la scelta di lasciar parlare gli autori (comunque con un lavoro di inquadramento da parte vostro). Inoltre, il libro si caratterizza per un adeguato "dosaggio" di approccio critico. Ciò rende al contempo possibile al lettore raccogliere informazioni e confrontarsi con il vostro punto di vista.

Nel merito delle questioni sollevate non entro.
Mi limito a segnalare due punti su cui la lettura del vostro lavoro mi ha sollecitato.

In primo luogo, il modello di rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi (più in generale psicologia). Assunto un presupposto monista, in che modo mettere insieme queste due forme (o livelli) di conoscenza?
Personalmente io assumo che si ha a che fare con un unica realtà costruita da due linguaggi diversi in due domini di esperienza e dunque di discorso scientifico avente tali domini come oggetto di indagine (neurologico e mentale).
L'immagine a cui mi riferisco per render(mi) comprensibile tale idea è quella del vortice, descrivibile tanto come microdinamica che a livello macroscopico.
Conseguentemente, da questo punto di vista non ha senso parlare di una relazione tra i due domini e neanche di una cooperazione tra approcci ognuno dei quali in grado di vedere un pezzo di una più generale realtà.
I due discorsi scientifici sono in se stessi esaustivi, anche se non esclusivi (cioè non esauriscono la possibilità di altri linguaggi esaustivi sullo stesso fenomeno).
Tutto ciò non riduce, anzi motiva al dialogo con le neuroscienze, in quanto:
a) ambedue i discorsi possono usare l'altro come fonte analogica/metaforica di generazione di idee;
b) ciascun dominio può usare l'altro in termini di criterio di coerenza.

In secondo luogo, la questione dell'evoluzione come postulato fondamentale organizzante la plausibilità delle ipotesi.
Al di là del comprensibile, tuttavia non opportuno, processo di reificazione del concetto - come se l'evoluzione fosse una causa agente che produce effetti (modifiche delle funzioni/strutture) - il punto centrale è che in psicologia tale ancoraggio è fortemente criticato, in particolare da chi riconosce il carattere simbolico della mente (da Piaget ai culturalisti).
In termini generali, in linea con quest'ultimo assunto la mia osservazione è la seguente: se il pensiero/simbolo ha sottratto l'uomo al legame immediato con la natura, creando un mondo ulteriore in grado di evolversi (la cultura), allora come si può ipotizzare che la selezione naturale continui ad operare?
Per dirla in altri termini: ammettiamo che oggi vi siano due strutture biologiche A e B, che producono rispettivamente i pattern di adattamento a e b. Ammettiamo pure per semplificare che a e b abbiano una asimmetria nella loro capacità adattativa - del tipo ADATTAMENTOa > ADATTAMENTOb (il che è già difficile da accettare in quanto il criterio di adattabilità nel nostro mondo non è statico, ma in quanto culturale è contestuale ai modelli), in che modo tale asimmetria influenza l'evoluzione?
La soluzione darwiniana dovrebbe essere: il portatore di A ha maggiori capacità di sopravvivenza e dunque di generare, dunque di trasmettere A. Ma tale soluzione è difficile da accettare nel caso in cui a sia comunque un comportamento mediato simbolicamente nel contesto sociale.
Infatti:
1) Non si può pensare ad un rapporto statico e invariante tra A e a.
2) Soprattutto, il differenziale di ADATTAMENTO tra a e b non implica un differenziale di SOPRAVVIVENZA. La civiltà sta proprio in questo: creare un mondo di idee che permette di ridurre la differenza di sopravvivenza tra i diversi modelli di adattamento (idee, comportamenti, ecc).

Mi scuso se mi sono dilungato nell'esporre alcune idee sparse sollecitate dalla lettura del libro. La mia intenzione è soprattutto darvi un segno di quanto ho apprezzato il testo. E al di là delle parole che potrebbero comunque suonare di rito mi sembra che il modo migliore sia quello di condividere almeno alcuni dei pensieri che l'opera ha sollecitato.

Con viva cordialità.

Sergio Salvatore

Presentazione a Genova

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Il lavoro di aggiornamento dei contenuti del libro è al momento fermo: ci è stato chiesto di presentare il nostro lavoro in varie sedi e questo sta assorbendo il nostro poco tempo libero nella preparazione dei vari interventi.

Uno di questi si è tenuto venerdì scorso a Genova, ospiti dell'STCS - Spazio Progetto in collaborazione con la Scuola di psicoterapia Comparata: la locandina dell'incontro è disponibile a questo indirizzo mentre il testo videoregistrato del nostro intervento dovrebbe essere a breve pubblicato a partire da questa pagina.

Arrivederci ...

giovedì 9 aprile 2009

mercoledì 8 aprile 2009

Benvenuti al nostro blog!

Benvenuti!

Questo blog è dedicato al nostro libro La psicoanalisi nelle terre di confine, pubblicato dall'editore Raffaello Cortina nel marzo 2009: da parte nostra - Beatrice ed io - proporremo possibili aggiornamenti e integrazioni al testo pubblicato; da parte Vostra ci aspettiamo la possibilità di una discussione e di un confronto sui temi del libro ...

Buon lavoro e arrivederci a presto!