mercoledì 18 novembre 2009

Ancora prudenza a proposito dei neuroni mirror nella specie umana ...

In conclusione al capitolo 'Uno sguardo al futuro ...' a pag. 166 va aggiunto questo paragrafo:

Christian Keysers è ritornato su questi temi in un breve articolo pubblicato su Current Biology (vol. 19, n. 21, pp. R971-R973), nel quale assume una posizione decisamente prudente a proposito della presenza e del significato dei neuroni mirror nella specie umana: posizione che certo fa riflettere provenendo da un Autore che ha lavorato strettamente con il gruppo di Parma e che può annoverarsi a buon ragione tra gli scopritori del fenomeno del mirroring. Parafrasando il suo scritto possiamo affermare che:


  • Differenti gruppi di ricerca hanno evidenziato l’esistenza di neuroni mirror in tre regioni della corteccia del macaco.
  • Neuroni mirror sono stati recentemente segnalati negli uccelli canori.
  • Resta discussa – nessuna dimostrazione definitiva è stata acquisita ma ci sono molti segni indiretti – l’esistenza di neuroni mirror nella specie umana:
    • Diminuisce il ritmo μ quando ci si muove o si vede qualcuno muoversi.
    • L’esecuzione di un’azione è facilitata dal vedere qualcun altro eseguire un’azione simile e resa più difficile dal vedere qualcun altro eseguire un’azione incompatibile.
    • La TMS mostra che guardare un’azione facilita la rappresentazione motoria corticale dei muscoli implicati nell’eseguire la medesima azione.
  • Sulla base del principio della continuità evolutiva, si dovrebbe assumere che i neuroni mirror siano allocati essenzialmente nella corteccia premotoria e in quella parietale.
  • I risultati di vari esperimenti condotti in fMRI suggeriscono però che altre regioni cerebrali nell’uomo abbiano proprietà mirror, tra cui la corteccia premotoria dorsale, la corteccia motoria supplementare, le cortecce somatosensoriali primaria e secondaria, la circonvoluzione temporale posteriore centrale e parti del cervelletto. In assenza di dimostrazioni conclusive, sarebbe meglio riferirsi a queste regioni in termini di un sistema putativo di neuroni mirror.
  • Benché compaiano in letteratura studi che negano l’esistenza di neuroni mirror nell’uomo (spesso contraddetti da altri consimili), questi possono essere intesi come conseguenza dei limiti degli strumenti di analisi impiegati.
  • Gli studi attualmente disponibili sembrano indicare che i neuroni mirror contribuiscono alla nostra percezione delle altrui azioni.
    • Questo potrebbe riscontrarsi in condizioni patologiche come quella dell’autismo, ma i dati in questione sono attualmente contradditori.
  • Siamo probabilmente in grado di sviluppare competenze di mirroring attraverso l’apprendimento.
    • Cinque ore di lezioni di piano sono sufficienti perché la corteccia premotoria cominci a rispondere al suono della musica.
  • Le regioni del cervello che hanno a che fare con l’esecuzione delle azioni si attivano anche quando le persone cercano di capire le altrui intenzioni o empatizzano con altri o ascoltano il linguaggio parlato.
    • Resta aperta (TMS, studi lesionali) la questione di quanta di questa attività derivi realmente dai neuroni mirror ed in quale misura possa essere assunto un legame causale tra attivazione e funzioni mentali.
  • Alcuni esperimenti suggeriscono l’idea che regioni cerebrali implicate nell’esperire emozioni e sensazioni si attivino anche quando vediamo le emozioni e le sensazioni degli altri.
    • Queste regioni potrebbero perciò contenere neuroni mirror per le emozioni e le sensazioni: ma in assenza di registrazioni dirette da singoli neuroni queste conclusioni non possono che rimanere provvisorie.
  • Sono circa una dozzina i lavori scientifici che hanno dimostrato direttamente l’esistenza dei neuroni mirror nelle scimmie e negli uccelli: ma sono circa cento volte tanto i lavori che si riferiscono ai neuroni mirror senza registrarne direttamente l’attività e spesso implicando una correlazione tra mirroring e funzioni cognitive elevate. Mentre è fuori di dubbio che esistano neuroni mirror negli animali, la relazione causale tra questi neuroni e fenomeni quali l’empatia, la teoria della mente, il linguaggio, l’autismo, l’estetica, la morale e la politica ha così poche evidenze sperimentali certe che la frequenza con cui il termine di neuroni mirror compare in letteratura non può che suscitare un certo disagio.
  • Dopo l’iniziale entusiasmo per la scoperta dei neuroni mirror e la stimolante ondata di speculazioni che ne è seguita, abbiamo ora bisogno di concentrarci su metodi che ci consentano di:
    • Localizzare questi neuroni nel cervello umano.
    • Esaminare che tipo di informazione essi trasmettano circa le altrui azioni.
    • Definire l’eventuale relazione causale tra i neuroni mirror putativi in vari nodi del sistema e le funzioni cerebrali più elevate della mente umana.
    • Cercare di comprendere l’evoluzione del sistema.
  • I neuroni mirror ci consentono di gettare uno sguardo affascinante sulle basi neurali della cognizione sociale: usiamo attente sperimentazioni invece che speculazioni selvagge e controversie per trasformare questo sguardo in una solida comprensione scientifica.
Una posizione, come si vede a prima vista, ben lontana dagli entusiasmi e dalle speculazioni di Gallese o di Iacoboni – che fanno dei neuroni mirror il perno di tutte le neuroscienze sociali e delle loro applicazioni – ma anche dalla relativa prudenza dei lavori del ‘maestro’ Giacomo Rizzolatti

domenica 15 novembre 2009

L'ossitocina: 'buoni' e 'cattivi' sentimenti ...

A pag. 55, al termine del secondo paragrafo (... della malattia depressiva.) va inserita questa nota a pie' di pagina:

Ma forse l’ossitocina non è sempre l’ormone dei ‘buoni’ sentimenti: l’osservazione che essa potenzia l’aggressività dei roditori ha spinto Simone Shamay-Tsoory et al. (Intranasal Administration of Oxytocin Increases Envy and Schadenfreude (Gloating), Biological Psychiatry, 2009, 66 pp. 864–870) a verificare se l’ossitocina non influisca anche su sentimenti ‘cattivi’, come l’invidia o lo Schadenfreude (di cui parleremo ancora a pag. 85). Poiché l’esperimento dimostra questa intuizione (sia pure in termini di un’influenza alquanto modesta), si potrebbe concludere che l’ossitocina promuove in generale l’intensità delle emozioni sociali modulando la rilevanza (salience) degli agenti sociali nei contesti sociali: e portando quindi a più generosità e fiducia nei contesti positivi e a più invidia e avidità nelle situazioni competitive.

sabato 14 novembre 2009

Il rovescio della medaglia ...

A pag. 53, faremmo seguito al capoverso che termina con le parole "... qualcosa da aggiungere ...)" con questa citazione (tratta da Julian Savulescu & Anders Sandberg (2008), Neuroenhancement of Love and Marriage: The Chemicals Between Us, Neuroethics (2008) 1:31–44):

Ma la medaglia ha anche il suo rovescio:
L’evoluzione non ci ha creato per essere felici, ma piuttosto ha creato la felicità per tenerci vivi e farci riprodurre: ma dal nostro punto di vista umano la felicità e il benessere nostro e dei nostri cari sono l’obiettivo più importante. Possiamo desiderare di aver figli, ma molto raramente il nostro desiderio si basa sulla decisione consapevole di promuovere la sopravvivenza della nostra specie o di perpetuare i nostri geni. Nel conflitto tra valori umani ed evoluzione possiamo benissimo ignorare quello che l’evoluzione promuoverebbe: non esiste alcun imperativo umano che ci costringa ad obbedire all’evoluzione, ma in ogni caso è l’evoluzione che ha costruito i nostri sistemi motivazionali e le nostre emozioni, facendo sì che qualsiasi etica o sistema sociale che vada contro questi vincoli sia fragile e instabile. I nostri adattamenti evoluzionistici si basano su un ambiente ancestrale [più o meno il Pleistocene dei grandi cacciatori] molto diverso dal nostro presente e molti di questi adattamenti finiscono con il produrre competitività e infelicità invece che felicità … [Julian Savulescu & Anders Sandberg, 2008, p. 41]

Neuroimaging

Abbiamo provveduto ad aggiornare e completare la nota 12 di pag. 21, riscrivendola integralmente (meglio sarebbe stato trasformarla in un box, ma abbiamo preferito mantenere intatta la struttura del libro):

Le due tecniche fondamentali di imaging sono la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica nucleare (MRI): esistono poi varie specializzazioni e tecniche particolari la più nota delle quali è la risonanza magnetica nucleare funzionale (fMRI) che utilizza la deossiemoglobina come una sorta di mezzo di contrasto interno; va inoltre attualmente molto affermandosi la DTI (Diffusion Tensor Imaging), una tecnica che si propone di mappare le connessioni neuronali in particolare della sostanza bianca seguendo il percorso delle molecole di acqua che tendono a scorrere (anche se con dinamiche tuttora poco note) lungo le cellule nervose coperte dalla mielina, che è idrorepellente.


La disponibilità delle tecniche di imaging ha completamento rivoluzionato, in pochissimi anni, non solo gli ambiti e le potenzialità di ricerca ma anche il modo di concepire la composizione dei teams degli studiosi all’opera (per esempio, ci vogliono fisici molto specializzati per seguire lo sviluppo delle tecnologie arrivate, nel caso della fMRI, alla spettacolare potenza di 7Tesla, ed esperti di tecniche computazionali avanzate per leggere i risultati grezzi) o di presentare i risultati nell’ambito delle varie pubblicazioni scientifiche. Ramachandran è gustosamente intervenuto recentemente, in un’intervista, pubblicata su Monitor on Psychology di giugno 2008, sulla febbre dell’imaging:

Pensare è davvero difficile e quando si hanno a disposizione tecnologie meravigliose si ha facilmente l’illusione di fare grandi progressi: si mette qualcuno dentro una macchina e se ne hanno delle immagini incredibili. Siamo arrivati al punto che, anche se hai fatto un esperimento con conseguenze da far girare la testa, certe riviste non ti accettano il lavoro se non hai delle immagini cerebrali. Ma più frequentemente capita il contrario: gli psicologi guardano con risentimento le neuroscienze che temono prendano il sopravvento; io la chiamo invidia del neurone [neuron envy]. Le nuove tecnologie di imaging stanno rivoluzionando il campo, specialmente quando sono accompagnate da ipotesi e concettualizzazioni intelligenti. Pensateci, è così che gli psicologi hanno scoperto come funziona la memoria ed è così che scopriranno quello che succede nel cervello. Facciamo delle ipotesi e vediamo se le cose funzionano come ci aspettiamo a livello cerebrale … Il segreto è di non fare generiche battute di pesca, quel che si prende si prende: e invece il 98% dell’imaging cerebrale brancola a tentoni nel buio più nero … [Vilayanur Ramachandran, 2008]

Ci rassicura molto che Chris Frith, uno dei più grandi neuroscienziati contemporanei, ammetta nel suo ultimo libro di non capire proprio come funzioni la MRI (ma questo non gli ha impedito di essere per molti anni una delle punte della ricerca internazionale nel settore) e, coprendoci dietro questa dichiarazione, non discuteremo in questa nota le complesse questioni tecniche legate alle metodiche di imaging. Il lettore interessato ha comunque a disposizione trattazioni ed aggiornamenti comprensibili anche per non specialisti che vanno diffondendosi nelle riviste internazionali comunemente consultate dagli operatori del settore psicologico: per esempio, un lavoro molto bello e in gran parte autobiografico sulle tecniche di imaging nel campo delle neuroscienze è stato pubblicato nel 2008 da Raymond J. Dolan sulla rivista Neuron (Neuron 60, November 6, 2008, pp. 496-502) con il titolo Neuroimaging of Cognition: Past, Present, and Future e un’overview ben documentata sui lavori più recenti, che dà il senso dei progressi che continuamente vengono compiuti dal punto di vista tecnologico e dei limiti tuttora esistenti, è stata preparata da Peter A. Bandettini per l’edizione 2009 del The Year in Cognitive Neuroscience pubblicata nell’ambito degli Annals of the New York Academy of Sciences (volume 1156) con il titolo di What’s New in Neuroimaging Methods? (pp. 260-293).

Una certa attenzione va però dedicata ai limiti intrinseci delle metodiche di imaging, spesso sottaciuti o minimizzati (in termini di potere di risoluzione, per esempio, non si dimentichi che, come è stato stimato, un voxel - che è un po’ l’unità di misura della granularità della fMRI – include 5.5 milioni di neuroni, 1010 sinapsi, 22 km di dendriti e 220 km di assoni …): nel caso della fMRI, poi, illazioni e interpretazioni importanti a proposito dei vari meccanismi mentali vengono avanzate sulla base della rilevazione di piccole variazioni della vascolarizzazione cerebrale, verosimilmente degli astrociti e quindi solo indirettamente dei neuroni, (segnale BOLD: blood oxygenation level-dependent), con conoscenze ancora molto imprecise sia a proposito delle variazioni fisiologiche individuali sia dei limiti di risoluzione spazio-temporale della metodica (si consideri, per esempio, che il flusso ematico impiega circa due secondi per esprimere una variazione mentre un pensiero varia nell’ordine dei millisecondi) sia della condizione stessa delle attivazioni cerebrali in assenza di specifiche attività mentali (il cosiddetto resting state di cui faremo cenno più avanti). Imaging or Imagining? è l’azzeccato titolo che J. Illes e E. Racine hanno scelto per un loro lavoro del 2005 dedicato alla discussione di queste problematiche, nel corso del quale viene ripetutamente posto in evidenza che l’interpretazione di un risultato di imaging è correlato a importanti variabili socio-culturali e che l’uso eccessivamente disinvolto di tecniche neuroscientifiche in vari settori – dalle aule giudiziarie alla pubblica opinione – pone significativi quesiti etici ove la dimensione interpretativa venga sottaciuta in nome di una pretesa verità scientificamente oggettiva.

Il problema si è vivacemente imposto all’attenzione della letteratura ai primi del 2009, quando ha cominciato a circolare la bozza in attesa di pubblicazione di un articolo provocatoriamente intitolato Voodoo Correlations in Social Neuroscience, di Edward Vul (uno specializzando del MIT), Christine Harris, Piotr Winkielman e Harold Pashler dell’University of California, San Diego, nel quale vengono mosse critiche molto pesanti alle modalità di elaborazione ed interpretazione dei dati dell’imaging nel campo in particolare delle neuroscienze sociali, che proporrebbero correlazioni implausibilmente elevate (con il sospetto addirittura che in taluni casi si tratti di correlazioni totalmente illusorie) avvalendosi di particolari artifizi statistici atti a enfatizzare i risultati di correlazione tra immagini e costrutti psicologici. Il testo riesamina criticamente cinquantaquattro lavori recenti di alto profilo e ne boccia ben trentuno di Autori non certo di secondo piano (da Tania Singer a Raymond Dolan, da Christian Keysers a Chris Frith); la sua precoce messa a disposizione su Internet e la rilevanza provocatoria delle sue affermazioni – a cominciare dal titolo stesso – hanno innescato una polemica molto vivace e la produzione di vari lavori da parte di molti Autori. Il “caso” (ben documentato nel blog di Edward Vul, raggiungibile all’indirizzo http://www.edvul.com/voodoocorr.php) si è un po’ ridimensionato con la pubblicazione del lavoro (con il nuovo titolo di Puzzlingly High Correlations in fMRI Studies of Emotion, Personality, and Social Cognition) nel numero di maggio (volume 4 numero 3, pp. 274-290) della rivista Perspectives in Psychological Science, preceduto da un’Introduzione dell’editore della Rivista, Ed Diener, e seguito da alcuni lavori di revisione critica, alcuni nel senso della confutazione altri in quello della conferma (di Thomas E. Nichols e Jean-Baptist Poline; Tal Yarkoni; Matthew D. Lieberman, Elliot T. Berkman e Tor D. Wager; Nicole A. Lazar; Martin A. Lindquist e Andrew Gelman; Lisa Feldman Barrett) e da una risposta generale degli Autori (che ribatte le obiezioni mosse e riafferma il tenore delle critiche inizialmente mosse ed anzi ne estende la validità in un senso epistemologicamente più esteso)..

La luna di miele con la fMRI è finita, scrivono nel corso di un altro interessante articolo di revisione critica John Darrell Van Horn e Russell A. Poldrack (Functional MRI at the crossroads, International Journal of Psychophysiology 73, 2009, 3–9: l’articolo fa parte di uno Special Issue che la rivista dedica all’argomento della sirena fMRI): occorrerà nel futuro costruire metodologie, largamente confortate dal confronto via Internet, in cui diverse modalità di imaging (fMRI, DTI e PET) ma anche manipolazioni farmacologiche ed analisi genetiche concorrano nella rilevazione e nell’interpretazione dei dati e molta cura e cautela sia impiegata nella comunicazione dei possibili risultati di correlazione.

sabato 7 novembre 2009

REM Sleep and Dreaming: una bella review di J. Allan Hobson.

Al termine del primo periodo della pag. 30, nel box 1.3, dopo le parole "... alla condizione del delirio", potrebbe essere aggiunta questa segnalazione di un bel lavoro recentemente comparso:

Hobson è tornato recentemente sull’argomento proponendo una lucida review dell’argomento (REM sleep and dreaming: towards a theory of protoconsciousness, Nature Reviews Neuroscience, Novembre 2009, pp. 803-813) in cui ha presentato un aggiornamento della teoria generale, ora denominata AIM (activation, input-output gating e modulation – le aree cerebrali e i modulatori neurochimici implicati nella varie fasi del ciclo veglia-sonno rimangono, con qualche affinamento, quelli della teoria classica da lui esposta in molti lavori scientifici negli ultimi anni), e ha sostenuto l’importante teoria che funzione fondamentale del sonno-REM sia quella di consentire il costruirsi di uno stato di coscienza primaria sulla cui base evolverà pian piano la coscienza secondaria e matura dell’adulto. Dopo aver tra l’altro fatto osservare che “quando si sogna, si ha l’impressione di essere padroni degli atti motori sognati, ma basta la riflessione di un momento per accorgersi che questo senso di agenzia volitiva è tanto illusorio quanto il nostro senso di libero arbitrio da svegli” [pg. 808], conclude sottolineando che il sonno-REM può essere considerato come una sorta di generatore di mondi di realtà virtuale: una preparazione alla vita reale da svegli come una rielaborazione di essa. Il sonno-REM, dunque, ci prepara e ci rende più competenti nell’affrontare la realtà. Queste funzioni si sviluppano anche prima che si costituisca la capacità di sognare, che comparirebbe verso i 5-8 anni: l’esperienza soggettiva del sogno ne sarebbe dunque solo un epifenomeno, eventualmente anche privo di importanti significati psicologici in sé.

Un commento al libro da parte di Antonio Imbasciati

Riceviamo con piacere da Antonio Imbasciati questo commento al nostro libro:

Senatores probi viri, senatus mala bestia. Con molto garbo anche in Italia qualche psicoanalista riesce a dire agli ultimi vescovi dell'establishment quello che fino a qualche anno fa suscitava ostracismi, o forse risentimenti del collettivo emotivo di fronte a affermazioni che suonavano a oltraggio di una dottrina che si attribuiva a Freud. I colleghi di questo bellissimo libro, importante per il futuro della SPI, non incorreranno più oggi in una scomunica come succedeva un tempo, ma forse qualche non bel pensiero inespresso susciteranno. Fatto importante è che i nostri autori riportano una bella rassegna di studi di autorevoli colleghi stranieri che affermano fondamentali cambiamenti dei parametri creduti inviolabili della psicoanalisi, e rinfacciano alla psicoanalisi i suoi sette peccati mortali (si veda pagina 180). Questi peccati hanno privato gli psicoanalisti italiani di potenziali validi colleghi, insieme ai quali si sarebbe potuto far progredire la psicoanalisi in quanto scienza e soprattutto farla rispettare dalle altre scienze.