giovedì 28 maggio 2009

Opinioni e commenti: Sergio Salvatore

Sergio Salvatore ci ha inviato un suo commento al libro (con una lettera che riportiamo qui di seguito) e ha sollevato due questioni: il modello di rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi e il concetto di evoluzione come presupposto fondante la plausibilità delle varie costruzioni scientifiche.


Cari Silvio e Beatrice (se posso permettermi),

ho sinceramente apprezzato il vostro libro.

Siete riusciti nel non facile compito di creare uno strumento utile ed utilizzabile da diversi modelli di lettore (studenti, ricercatori clinici, clinici). Mi ha colpito la sistematicità e la capacità di controllo della discussione. Ho trovato indovinata la scelta di lasciar parlare gli autori (comunque con un lavoro di inquadramento da parte vostro). Inoltre, il libro si caratterizza per un adeguato "dosaggio" di approccio critico. Ciò rende al contempo possibile al lettore raccogliere informazioni e confrontarsi con il vostro punto di vista.

Nel merito delle questioni sollevate non entro.
Mi limito a segnalare due punti su cui la lettura del vostro lavoro mi ha sollecitato.

In primo luogo, il modello di rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi (più in generale psicologia). Assunto un presupposto monista, in che modo mettere insieme queste due forme (o livelli) di conoscenza?
Personalmente io assumo che si ha a che fare con un unica realtà costruita da due linguaggi diversi in due domini di esperienza e dunque di discorso scientifico avente tali domini come oggetto di indagine (neurologico e mentale).
L'immagine a cui mi riferisco per render(mi) comprensibile tale idea è quella del vortice, descrivibile tanto come microdinamica che a livello macroscopico.
Conseguentemente, da questo punto di vista non ha senso parlare di una relazione tra i due domini e neanche di una cooperazione tra approcci ognuno dei quali in grado di vedere un pezzo di una più generale realtà.
I due discorsi scientifici sono in se stessi esaustivi, anche se non esclusivi (cioè non esauriscono la possibilità di altri linguaggi esaustivi sullo stesso fenomeno).
Tutto ciò non riduce, anzi motiva al dialogo con le neuroscienze, in quanto:
a) ambedue i discorsi possono usare l'altro come fonte analogica/metaforica di generazione di idee;
b) ciascun dominio può usare l'altro in termini di criterio di coerenza.

In secondo luogo, la questione dell'evoluzione come postulato fondamentale organizzante la plausibilità delle ipotesi.
Al di là del comprensibile, tuttavia non opportuno, processo di reificazione del concetto - come se l'evoluzione fosse una causa agente che produce effetti (modifiche delle funzioni/strutture) - il punto centrale è che in psicologia tale ancoraggio è fortemente criticato, in particolare da chi riconosce il carattere simbolico della mente (da Piaget ai culturalisti).
In termini generali, in linea con quest'ultimo assunto la mia osservazione è la seguente: se il pensiero/simbolo ha sottratto l'uomo al legame immediato con la natura, creando un mondo ulteriore in grado di evolversi (la cultura), allora come si può ipotizzare che la selezione naturale continui ad operare?
Per dirla in altri termini: ammettiamo che oggi vi siano due strutture biologiche A e B, che producono rispettivamente i pattern di adattamento a e b. Ammettiamo pure per semplificare che a e b abbiano una asimmetria nella loro capacità adattativa - del tipo ADATTAMENTOa > ADATTAMENTOb (il che è già difficile da accettare in quanto il criterio di adattabilità nel nostro mondo non è statico, ma in quanto culturale è contestuale ai modelli), in che modo tale asimmetria influenza l'evoluzione?
La soluzione darwiniana dovrebbe essere: il portatore di A ha maggiori capacità di sopravvivenza e dunque di generare, dunque di trasmettere A. Ma tale soluzione è difficile da accettare nel caso in cui a sia comunque un comportamento mediato simbolicamente nel contesto sociale.
Infatti:
1) Non si può pensare ad un rapporto statico e invariante tra A e a.
2) Soprattutto, il differenziale di ADATTAMENTO tra a e b non implica un differenziale di SOPRAVVIVENZA. La civiltà sta proprio in questo: creare un mondo di idee che permette di ridurre la differenza di sopravvivenza tra i diversi modelli di adattamento (idee, comportamenti, ecc).

Mi scuso se mi sono dilungato nell'esporre alcune idee sparse sollecitate dalla lettura del libro. La mia intenzione è soprattutto darvi un segno di quanto ho apprezzato il testo. E al di là delle parole che potrebbero comunque suonare di rito mi sembra che il modo migliore sia quello di condividere almeno alcuni dei pensieri che l'opera ha sollecitato.

Con viva cordialità.

Sergio Salvatore

1 commento:

Silvio A. Merciai ha detto...

Caro Sergio,

intervengo con molto ritardo sulle questioni che sollevi e me ne scuso ...

Quanto alla prima, il modello di rapporto tra neuroscienze e psicoanalisi: io credo invece abbia senso parlare di cooperazione tra i due domini (il libro me ne sembra un'esemplificazione) perché non direi che guardano 'un pezzo' di una realtà ma 'tutta' la medesima realtà. Il concetto di consilience mi pare il punto di contatto e l'opzione metodologica di questo rapporto.

Quanto alla seconda, circa il ruolo dell'evoluzione, a me pare invece che, in senso generale, un ADATTAMENTOa più idoneo di un altro dovrebbe garantire una migliore sopravvivenza. Non è forse vero, per esempio, che nella civiltà occidentale contemporanea, certi modelli, relativamente esecrati nella nostra generazione, garantiscono più successo e quindi più fitness di altri?

Grazie della tua attenzione al nostro lavoro.

Silvio