sabato 14 novembre 2009

Neuroimaging

Abbiamo provveduto ad aggiornare e completare la nota 12 di pag. 21, riscrivendola integralmente (meglio sarebbe stato trasformarla in un box, ma abbiamo preferito mantenere intatta la struttura del libro):

Le due tecniche fondamentali di imaging sono la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica nucleare (MRI): esistono poi varie specializzazioni e tecniche particolari la più nota delle quali è la risonanza magnetica nucleare funzionale (fMRI) che utilizza la deossiemoglobina come una sorta di mezzo di contrasto interno; va inoltre attualmente molto affermandosi la DTI (Diffusion Tensor Imaging), una tecnica che si propone di mappare le connessioni neuronali in particolare della sostanza bianca seguendo il percorso delle molecole di acqua che tendono a scorrere (anche se con dinamiche tuttora poco note) lungo le cellule nervose coperte dalla mielina, che è idrorepellente.


La disponibilità delle tecniche di imaging ha completamento rivoluzionato, in pochissimi anni, non solo gli ambiti e le potenzialità di ricerca ma anche il modo di concepire la composizione dei teams degli studiosi all’opera (per esempio, ci vogliono fisici molto specializzati per seguire lo sviluppo delle tecnologie arrivate, nel caso della fMRI, alla spettacolare potenza di 7Tesla, ed esperti di tecniche computazionali avanzate per leggere i risultati grezzi) o di presentare i risultati nell’ambito delle varie pubblicazioni scientifiche. Ramachandran è gustosamente intervenuto recentemente, in un’intervista, pubblicata su Monitor on Psychology di giugno 2008, sulla febbre dell’imaging:

Pensare è davvero difficile e quando si hanno a disposizione tecnologie meravigliose si ha facilmente l’illusione di fare grandi progressi: si mette qualcuno dentro una macchina e se ne hanno delle immagini incredibili. Siamo arrivati al punto che, anche se hai fatto un esperimento con conseguenze da far girare la testa, certe riviste non ti accettano il lavoro se non hai delle immagini cerebrali. Ma più frequentemente capita il contrario: gli psicologi guardano con risentimento le neuroscienze che temono prendano il sopravvento; io la chiamo invidia del neurone [neuron envy]. Le nuove tecnologie di imaging stanno rivoluzionando il campo, specialmente quando sono accompagnate da ipotesi e concettualizzazioni intelligenti. Pensateci, è così che gli psicologi hanno scoperto come funziona la memoria ed è così che scopriranno quello che succede nel cervello. Facciamo delle ipotesi e vediamo se le cose funzionano come ci aspettiamo a livello cerebrale … Il segreto è di non fare generiche battute di pesca, quel che si prende si prende: e invece il 98% dell’imaging cerebrale brancola a tentoni nel buio più nero … [Vilayanur Ramachandran, 2008]

Ci rassicura molto che Chris Frith, uno dei più grandi neuroscienziati contemporanei, ammetta nel suo ultimo libro di non capire proprio come funzioni la MRI (ma questo non gli ha impedito di essere per molti anni una delle punte della ricerca internazionale nel settore) e, coprendoci dietro questa dichiarazione, non discuteremo in questa nota le complesse questioni tecniche legate alle metodiche di imaging. Il lettore interessato ha comunque a disposizione trattazioni ed aggiornamenti comprensibili anche per non specialisti che vanno diffondendosi nelle riviste internazionali comunemente consultate dagli operatori del settore psicologico: per esempio, un lavoro molto bello e in gran parte autobiografico sulle tecniche di imaging nel campo delle neuroscienze è stato pubblicato nel 2008 da Raymond J. Dolan sulla rivista Neuron (Neuron 60, November 6, 2008, pp. 496-502) con il titolo Neuroimaging of Cognition: Past, Present, and Future e un’overview ben documentata sui lavori più recenti, che dà il senso dei progressi che continuamente vengono compiuti dal punto di vista tecnologico e dei limiti tuttora esistenti, è stata preparata da Peter A. Bandettini per l’edizione 2009 del The Year in Cognitive Neuroscience pubblicata nell’ambito degli Annals of the New York Academy of Sciences (volume 1156) con il titolo di What’s New in Neuroimaging Methods? (pp. 260-293).

Una certa attenzione va però dedicata ai limiti intrinseci delle metodiche di imaging, spesso sottaciuti o minimizzati (in termini di potere di risoluzione, per esempio, non si dimentichi che, come è stato stimato, un voxel - che è un po’ l’unità di misura della granularità della fMRI – include 5.5 milioni di neuroni, 1010 sinapsi, 22 km di dendriti e 220 km di assoni …): nel caso della fMRI, poi, illazioni e interpretazioni importanti a proposito dei vari meccanismi mentali vengono avanzate sulla base della rilevazione di piccole variazioni della vascolarizzazione cerebrale, verosimilmente degli astrociti e quindi solo indirettamente dei neuroni, (segnale BOLD: blood oxygenation level-dependent), con conoscenze ancora molto imprecise sia a proposito delle variazioni fisiologiche individuali sia dei limiti di risoluzione spazio-temporale della metodica (si consideri, per esempio, che il flusso ematico impiega circa due secondi per esprimere una variazione mentre un pensiero varia nell’ordine dei millisecondi) sia della condizione stessa delle attivazioni cerebrali in assenza di specifiche attività mentali (il cosiddetto resting state di cui faremo cenno più avanti). Imaging or Imagining? è l’azzeccato titolo che J. Illes e E. Racine hanno scelto per un loro lavoro del 2005 dedicato alla discussione di queste problematiche, nel corso del quale viene ripetutamente posto in evidenza che l’interpretazione di un risultato di imaging è correlato a importanti variabili socio-culturali e che l’uso eccessivamente disinvolto di tecniche neuroscientifiche in vari settori – dalle aule giudiziarie alla pubblica opinione – pone significativi quesiti etici ove la dimensione interpretativa venga sottaciuta in nome di una pretesa verità scientificamente oggettiva.

Il problema si è vivacemente imposto all’attenzione della letteratura ai primi del 2009, quando ha cominciato a circolare la bozza in attesa di pubblicazione di un articolo provocatoriamente intitolato Voodoo Correlations in Social Neuroscience, di Edward Vul (uno specializzando del MIT), Christine Harris, Piotr Winkielman e Harold Pashler dell’University of California, San Diego, nel quale vengono mosse critiche molto pesanti alle modalità di elaborazione ed interpretazione dei dati dell’imaging nel campo in particolare delle neuroscienze sociali, che proporrebbero correlazioni implausibilmente elevate (con il sospetto addirittura che in taluni casi si tratti di correlazioni totalmente illusorie) avvalendosi di particolari artifizi statistici atti a enfatizzare i risultati di correlazione tra immagini e costrutti psicologici. Il testo riesamina criticamente cinquantaquattro lavori recenti di alto profilo e ne boccia ben trentuno di Autori non certo di secondo piano (da Tania Singer a Raymond Dolan, da Christian Keysers a Chris Frith); la sua precoce messa a disposizione su Internet e la rilevanza provocatoria delle sue affermazioni – a cominciare dal titolo stesso – hanno innescato una polemica molto vivace e la produzione di vari lavori da parte di molti Autori. Il “caso” (ben documentato nel blog di Edward Vul, raggiungibile all’indirizzo http://www.edvul.com/voodoocorr.php) si è un po’ ridimensionato con la pubblicazione del lavoro (con il nuovo titolo di Puzzlingly High Correlations in fMRI Studies of Emotion, Personality, and Social Cognition) nel numero di maggio (volume 4 numero 3, pp. 274-290) della rivista Perspectives in Psychological Science, preceduto da un’Introduzione dell’editore della Rivista, Ed Diener, e seguito da alcuni lavori di revisione critica, alcuni nel senso della confutazione altri in quello della conferma (di Thomas E. Nichols e Jean-Baptist Poline; Tal Yarkoni; Matthew D. Lieberman, Elliot T. Berkman e Tor D. Wager; Nicole A. Lazar; Martin A. Lindquist e Andrew Gelman; Lisa Feldman Barrett) e da una risposta generale degli Autori (che ribatte le obiezioni mosse e riafferma il tenore delle critiche inizialmente mosse ed anzi ne estende la validità in un senso epistemologicamente più esteso)..

La luna di miele con la fMRI è finita, scrivono nel corso di un altro interessante articolo di revisione critica John Darrell Van Horn e Russell A. Poldrack (Functional MRI at the crossroads, International Journal of Psychophysiology 73, 2009, 3–9: l’articolo fa parte di uno Special Issue che la rivista dedica all’argomento della sirena fMRI): occorrerà nel futuro costruire metodologie, largamente confortate dal confronto via Internet, in cui diverse modalità di imaging (fMRI, DTI e PET) ma anche manipolazioni farmacologiche ed analisi genetiche concorrano nella rilevazione e nell’interpretazione dei dati e molta cura e cautela sia impiegata nella comunicazione dei possibili risultati di correlazione.

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